10 febbraio 2007

5 febbraio 2007

This and this and this more...

Mine antiuomo


Annuncio della Casa Bianca
Il 3 agosto 2006, Human Rights Watch ha annunciato che l’amministrazione Bush è intenzionata a riprendere la produzione di mine antiuomo per la prima volta dal 1997.
Il Pentagono ha richiesto un totale di 1.3 bilioni di dollari per un nuovo tipo di mine terrestri (anti-carro e anti-uomo).

La Convenzione di Ottawa
Alla fine del '97 nella conferenza ad Ottawa è stato raggiunto un accordo per il bando totale di queste armi. Il trattato ha finora ottenuto la firma di un elevato numero di paesi partecipanti e tra questi l'Italia (ma non ancora quella di paesi importanti quali gli USA e la Cina).
Nel dicembre 1997 il premio Nobel per la pace e' stato conferito alla Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo ed alla sua portavoce Jodie Williams.
Tra i paesi che non hanno firmato la convenzion e di Ottawa per la proibizione dell’uso, dello stoccaggio, della produzione e del commercio delle mine antipersona e per la loro distruzione vale la pena di ricordare: Cuba, Stati Uniti, Russia, Turchia, Egitto, Israele, Marocco, Eritrea, Somalia, Nigeria, Cina e India.

Secondo i dati del rapporto 2000 ci sono oltre 250 milioni di mine negli arsenali delle forze armate di 105 paesi, in particolare Cina [110 milioni] e Russia [60/70 milioni]. Tra gli stati firmatari l’Italia mantiene il primato del numero di mine conservate nei magazzini delle forze armate [4,8 milioni].

Tra i 138 paesi firmatari, solo 48 stati hanno provveduto a pubblicare un rapporto sulla stato di attuazione della convenzione pur essendone tutti obbligati.
Il problema dello sminamento
Questi risultati, per quanto significativi, non devono far perdere di vista le dimensioni del problema, infatti, anche se queste armi fossero definitivamente messe al bando in tutto il pianeta resterebbe ancora aperto il problema dell'eliminazione delle mine già disseminate in un gran numero di paesi.
La produzione delle mine antiuomo è stimata in 5-10 milioni ogni anno, ripartita su un centinaio di produttori in 55 paesi. Il numero di mine distrutte ogni anno nelle operazioni di sminamento, si colloca invece, tra 100.000 e 200.000. Con questi ritmi, occorrerebbero centinaia di anni per eliminare completamente questi ordigni dai paesi nei quali essi sono presenti.
L'impatto delle mine antiuomo sulla vita delle popolazioni locali è in realtà devastante dal momento che la loro presenza rende impraticabili all'agricoltura e alla mobilita' vasti territori con effetti economici e psicologici enormi. Per non parlare del peso che tutto ciò impone al sistema sanitario e sociale dei paesi più colpiti, le cui condizioni finanziarie, come e' facile immaginare, sono spesso drammatiche. Ad esempio il costo degli arti artificiali necessari ad una persona mutilata da una mina viene stimato oggi attorno a 3000 dollari. Se si tiene conto del gran numero di questi invalidi (ad esempio in Cambogia, sul cui territorio si stima che vi siano fra 4 e 7 milioni di mine, una persona su 236 e' stata mutilata da una mina), si può avere un'idea delle dimensioni del problema.

Paesi più colpiti
Cambogia, Afganistan, Angola, Mozambico, ex-Jugoslavia, Sudan, Somalia, El Salvador, Kurdistan, Kuwait.

Vittime tra i civili
Per sminare completamente l'Afganistan agli attuali ritmi occorrerebbero circa 4.300 anni.
Un'indagine (fonte: Croce Rossa Internazionale) realizzata in Afghanistan sui feriti delle mine antiuomo chiarisce che la maggioranza delle vittime mine sono civili. Solo il 13% dei feriti era costituito da militari.
Sulla base dei dati risulta che le vittime della guerra oggi sono:
7% i combattenti 34% i bambini 26% gli anziani 16% le donne 17% gli uomini civili
Nella prima guerra mondiale, all'inizio del secolo, i civili rappresentarono il 15% delle vittime. Come si può dunque notare la situazione oggi si è capovolta rispetto all'inizio del secolo e per questo la guerra "moderna" è diventata molto più disumana e ripugnante perché a farne le spese sono gli innocenti.

Libertà di stampa in Italia



Estratto tradotto da Freedomhouse
http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=251&year=2006

In Italia la libertà di parola e di stampa è garantita costituzionalmente. Tuttavia, la libertà dei media è rimasta costretta fin dal 2005 dalla concentrazione dei media nelle mani del Primo Ministro Silvio Berlusconi, che controlla il 90 per cento dei mezzi di radiodiffusione del paese attraverso le sue azioni. Nel mese di aprile del 2004, il senato ha adottato la legge di Gasparri sulla radiodiffusione, che al relativo accreditamento ha introdotto un certo numero di riforme da che dovrebbero il paese per il cambiamento previsto nel 2006 broadcasting a digitale analogue e la privatizzazione parziale della rete di radiodiffusione pubblica italiana, RAI. Tuttavia, la legge è stata criticata pesantemente poichè inefficace nel garantire la libertà di stampa in un regime di monopolio berlusconiano e di fare pochissimo per spezzare il"duopolio" di RAI e di Mediaset riguardo ai nuovi mezzi di broadcasting.
Ciò permetterebbe a Berlusconi, nella sua posizione unica, di continuare ad avere il dominio assoluto sui mezzi di radiodiffusione privati.
Nel mese di luglio del 2004, il Parlamento ha approvato la legge di Frattini, che richiama il conflitto di interesse fra l'ufficio pubblico dei ministri principali e le loro azioni di media.

Anche se questo impedisce al ministro principale di fare funzionare i suoi propri commerci, gli non impedisce di scegliere la sua propria procura, compreso un membro della famiglia.

Nel mese di gennaio del 2005, una corte a Roma ha condannato RAI per la rimozione di un giornalista della TV, Michele Santoro, in 2002. Santoro era uno dei tre giornalisti critici verso il governo che sono stati rimossi dalla RAI per "uso criminale presunto della televisione pubblica."

La maggior parte delle testate giornalistiche sono possedute privatamente ma spesso sono collegate ai partiti o a funzionari politici dei grandi media privati, che esercitano una certa influenza editoriale. I media della stampa, che consistono di parecchi giornali nazionali (di cui almeno due sono controllati direttamente dalla famiglia Berlusconi), continuano a fornire una certa varietà di opinioni politiche, comprese quelle critiche verso il governo. Tuttavia, Berlusconi influenza almeno sei delle quattordici principali testate televisive nazionali.

Mediaset monopolizza altresì i redditi della pubblicità in radiodiffusione. Nel 2004, Mediaset ha incamerato il 58 per cento di tutti i redditi della pubblicità, mentre RAI ha ricavato solo il 28 per cento. Le altre reti nazionali commerciali ricevono più o meno il 2 per cento dei redditi e le centinaia delle stazioni televisive locali/regionali complessivamente il 9 per cento.
Verso la fine del 2003, il governo ha promulgato una rinuncia provvisoria che ha rimosso una limitazione precedente su una persona che possiede più di due stazioni di broadcasting nazionali, permettendo a Retequattro, una delle tre stazioni della televisione possedute dal gruppo Berlusconi-Mediaset, di continuare il broadcasting terrestre, anzichè satellitare(!).
Il governo non limita generalmente l'accesso al Internet; tuttavia, il governo può ostruire i luoghi di Internet stranieri se contestano le leggi nazionali. Ma, dopo i bombardamenti di Londra nel mese di luglio del 2005 dagli estremisti, il Parlamento dell'Italia ha approvato una nuova legge antiterrorismo che include la sorveglianza della rete Internet e richiede una speciale autorizzazione per far funzionare un Internet-cafè.